É ben noto che i teggianesi, nel corso del tempo, hanno avuto una forte devozione verso il loro concittadino San Cono. Già dal 1261, anno in cui avvenne la traslazione delle ossa del santo dall’Abbazia di Cadossa a Teggiano, furono erette alcune cappelle nelle chiese del comprensorio e innalzate edicole votive sui prospetti delle abitazioni private, in onore del santo ed a protezione delle famiglie che le abitavano.
Un luogo di culto in particolare, secondo il parere dello scrivente, risulta più importante degli altri, trattasi della cappella che si trova in Via delle Croci, fuori le mura, nei pressi della chiesa della Misericordia di Teggiano. In un documento del 1330, la cui copia mi è stata gentilmente fornita da don Gaetano Passarelli, proprietario dell’ex abbazia di Santa Maria di Cadossa, si parla dei beni appartenenti ai monaci benedettini, tra cui una cappella sita nella città di Diano, nella “zona della Palme”, all’ingresso del centro antico, forse proprio in ricordo della celebre Traslazione. Questo particolare è riportato anche in un libro del compianto don Amabile Federico e intitolato “Chiese e conventi di Diano”, pubblicato nel 1968.
La tradizione narra come nella “traslazione delle Ossa del Beato Cono”, avvenuta nel 1261, i buoi che trasportavano la cassa con i resti mortali si fermarono all’ingresso della città, nei pressi della porta dell’Annunziata e stramazzarono al suolo; in ricordo di ciò evidentemente i monaci cadossani vollero costruire a loro spese questa cappella.
Secoli dopo questo luogo di culto era diventato un rudere, passando poi in proprietà del comune di Teggiano; nel 2005 il Comitato Feste volle ripristinarlo e abbellirlo in ricordo di questo grande evento, ottenendone dall’ente pubblico la concessione in comodato d’uso gratuito per 99 anni.
Anche a Sant’Arsenio esisteva un tempo una cappella dedicata a San Cono, eretta lungo la Via dei Marcigliani già prima del 1100 e della quale si parla nel diploma di donazione del casale di “Sancti Arsenii”, fatta da Silvestro II Guarna agli abati cavesi della SS. Trinità. Questa chiesetta per le vicissitudini dei tempi e per l’incuria degli uomini crollò e fu abbandonata, lasciando, però, il suo nome alla contrada che la ospitava. La statua del santo fu portata nella vicina cappella di San Vito, ma di quel simulacro non esiste più traccia. Fino al 1685 tale cappella si soleva chiamare di “San Vito e San Cono” e nel XVII secolo vi erano tre altari, sul maggiore la statua di San Vito, su quello di destra la statua di San Cono e sull’altro di sinistra l’immagine di San Biagio con la Madonna Incoronata (note dal libro: “Il Comune di S. Arsenio e la sua chiesa” di Giulio Pandolfo, 1978).
Anche nel paese di Casalbuono esisteva una cappella dedicata a San Cono, lungo una via un tempo molto trafficata e della quale è rimasto soltanto un tratto immutato e quasi dismesso; tale tracciato era il percorso che spesso facevano i casalnuovesi per recarsi al monastero di Cadossa, dal quale dipendevano.
La venerazione di San Cono a Casalnuovo (così chiamato sino al Regio Decreto del 14 dicembre 1862 n° 1078), dunque, era un atto pienamente dovuto e non solo per pura fede, ma anche come senso di vicinanza e vera appartenenza del Benedettino al territorio stesso. Allora Casalnuovo per onorare il Santo, con grande devozione gli edificò una cappellina (ab antiquo) proprio alla “voltata”, distante dall’abitato circa 200 metri. Qui il clero, un tempo, oltre a celebrarvi i sacri riti, faceva una breve sosta per svestirsi dei paramenti sacri e per poter continuare più liberamente il pellegrinaggio in direzione di Santa Maria Assunta di Cadossa, verso cui si recava, insieme al popolo fedele.
A dispetto di un tempo veramente immemorabile, ancora oggi emergono, fra le macerie, i resti delle mura perimetrali della piccola cappella e, a ben guardare, non sfuggono all’occhio vigile di chi osserva fra i ruderi, le stinte tracce ancora individuabili di un antico colore pompeiano. I casalnuovesi per ricordare la memoria e la santità di Cono, con fede lo elessero compatrono di Casalnuovo. A conferma di ciò, da un antico manoscritto dell’arciprete don Michele Calabria del 10 ottobre del 1836, in risposta alla richiesta di Monsignor Antonio Sacco di Sant’Arsenio, si riporta: «Nella chiesa e nella parrocchia troviamo venerato, come protettore S. Antero martire, di cui conserviamo insigni relequie, una con quelle di S. Alfonso, anche martire, forse martire battezzato, del che niuna notizia abbiamo, come di quando avvenne il cambiamento, perché prima i protettori erano S. Cono, S. Vito e S. Biagio, ora rimasti comprotettori…».
Dunque, come ricorda il prof. Giovanni Novellino, con la buona volontà di tutti, non sarebbe il caso di ripristinare e rinverdire le antiche e buone usanze, rimettendo in piedi la diruta e antica cappellina, cara alla memoria storica di alcune comunità del territorio?
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